Pseudonimo di
Pietro Berrettini. Pittore e architetto italiano.
Appartenente a una famiglia di costruttori e scalpellini, fu messo a bottega
presso il fiorentino Andrea Commodi, che si era stabilito a Cortona in quegli
anni (1609-12).
P., che aveva seguito il maestro quando si era recato a
Roma, si inserì tra gli artisti toscani della capitale e poté
studiare sia i grandi maestri del Cinquecento (Raffaello e Michelangelo), sia le
antichità e le collezioni di antiquariato di cui Roma era ricca. Nel 1614
P. entrò a bottega da Baccio Ciarpi; questi lo introdusse presso
salotti di grande rilievo culturale, in cui fu presentato alle famiglie
Sacchetti e Barberini, che furono a lungo i suoi massimi committenti. ║
Attività pittorica: già nei primi anni di esperienza,
P. aveva maturato alcune caratteristiche permanenti del suo gusto, quali
il senso drammatico della rappresentazione - resa secondo un equilibrio della
composizione tale da escludere, in pratica, la figura unica - e l'amore per la
resa di particolari architettonici. Ciò è evidente anche nelle
prime opere a noi note: gli affreschi di palazzo Mattei (1622-23), raffiguranti
il
Sacrificio di Polissena e il
Trionfo di Bacco. In essi le
figure si affacciano in primo piano come su un proscenio, alla maniera dei
rilievi antichi. Tale impostazione permane anche nel ciclo di affreschi per la
chiesa di Santa Bibiana (16224-26), dedicati a scene di vita della santa. Nel
1630
P. ottenne la prima commissione di rilievo dai Sacchetti, per il
restauro e la decorazione della villa di Castelfusano. Egli vi svolse una serie
di temi antichi e mitologici, tra cui ricordiamo il
Ratto delle Sabine:
uno scenario barocco di grande espressività, inserito in uno spazio-tempo
idealizzato, scandito secondo piani successivi ma dilatati e animati da una
tensione centrifuga dei movimenti. Tra il 1633 e il 1639, oltre a commissioni di
minor entità quali ritratti, pale d'altare e la
Trinità
eseguita per la cappella del Sacramento di San Pietro,
P. realizzò
quello che la critica considera il suo capolavoro pittorico: la decorazione
della volta del salone di palazzo Barberini. Seguendo un programma stabilito con
F. Bracciolini, per la celebrazione apologetica della casata attraverso temi
sacri e profani, l'artista affrescò una composizione unitaria in cinque
episodi, inseriti nei diversi spazi della superficie totale ripartita mediante
una sorta di cornice (
Trionfo di Minerva sui giganti, Imprese di Ercole,
Fucina di Vulcano, ecc.), e convergenti verso il tema centrale del
Trionfo della Divina Provvidenza. Elemento unificante è lo spazio
celeste, l'atmosfera luminosa che abbraccia tutte le figure, nel loro turbinoso
raggrupparsi e diradarsi, concepite per la visione dal basso verso l'alto. Nel
1637, in una pausa dei lavori a palazzo Barberini,
P. si era recato a
Firenze per iniziare ad affrescare, a palazzo Pitti, la camera della Stufa, con
le scene delle
Quattro età: le prime due,
Età
dell'oro e
Età dell'argento, furono portate a termine in
quello stesso anno, mentre le rimanenti,
Età del rame e
Età del ferro, furono completate nel 1640. I lavori a Firenze
continuarono fino al 1647, includendo anche la decorazione dell'appartamento
granducale di Federico II secondo il piano di F. Rondinelli, che voleva
rappresentare nella successione di stanze le virtù necessarie al principe
per governare saggiamente. Rientrato a Roma,
P. fu incaricato di
realizzare la decorazione della chiesa di Santa Maria in Vallicella (1648-65),
di cui interruppe più volte i lavori per realizzare altre commissioni. A
palazzo Pamphili di Piazza Navona fu chiamato per affrescare la volta della
Galleria borrominiana (1651-54); il soggetto era costituito dalle
Storie di
Enea, per le quali
P. escogitò una nuova soluzione decorativa,
dividendo il soffitto in varie aree, per mezzo di cornici fra loro diverse in
stucco e oro, in cui sviluppò motivi ornamentali con particolare
leggerezza ed eleganza, utilizzando una tavolozza di colori molto trasparenti e
luminosi. Nel 1652 l'artista fu incaricato di sovrintendere all'esecuzione degli
affreschi per la cupola della navata destra di San Pietro e nel 1660 di dirigere
la decorazione della galleria del palazzo del Quirinale. In quest'ultimo periodo
intervenne solo raramente in prima persona, come nel caso del
Miracolo di san
Filippo Neri per la navata centrale della Chiesa Nuova. ║
Attività architettonica: la spiccata predilezione, anche in ambito
pittorico, per la resa di particolari architettonici e di cornici dorate e
stuccate (vere o illusorie), testimoniò, fin da principio, l'interesse di
P. per l'architettura, inizialmente di natura teorica (mediante la
rielaborazione di tematiche palladiane e bramantesche) poi declinato in progetti
e realizzazioni concrete. Il suo primo edificio importante fu la villa del
Pigneto, costruita per i Sacchetti prima del 1630, oggi distrutta, ma a noi nota
per le incisioni che la ritrassero. La planimetria (di netta simmetria
compositiva) era costruita sulla base dei
Quattro Libri di Palladio, ma
insieme presentava un veloce susseguirsi di elementi architettonici e naturali
(vasche, grotte, rampe, terrazze, ecc.), che concentrava in uno spazio
relativamente ristretto un gran numero di variazioni ritmiche, tra loro
collegate da una studiata luminosità. Nel 1634, eletto principe
dell'Accademia di San Luca,
P. propose la ricostruzione della chiesa dei
Santi Luca e Martina, che portò a termine tra il 1635 e il 1647 e
progettò interamente, di persona, sia all'interno sia all'esterno. Nella
chiesa inferiore, originaria, realizzò una cupola a lacunari, sostenuta
da colonne angolari; nella chiesa superiore una pianta a croce greca, con bracci
diseguali absidati, collocati rispetto a uno spazio centrale che funge da perno,
modellato da pilastri angolari e coperto da una cupola. Le volte e la cupola
fondono il taglio duro e preciso della nervatura goticheggiante con il tipo
classico dei cassettoni, ottagonali e mistilinei. La facciata è legata
allo spazio complessivo della piazza, presentando due ordini sovrapposti, con
pilastri angolari in aggetto e semicolonne che decorano la prima facciata
convessa, mai realizzata per una chiesa nella Roma del Seicento. La facciata di
Santa Maria della Pace (1656-59), ripropone la soluzione convessa, con un pronao
semicircolare, con colonne doriche disposte ad intervalli irregolari, sovrastato
da un secondo ordine, rientrato sul piano della facciata, di semicolonne
corinzie e affiancato da due corpi laterali concavi, quasi come quinte teatrali,
in cui si aprono gli accessi laterali. Anche la facciata della chiesa di Santa
Maria in via Lata (1658-62) introduce un'innovazione nel campo dell'architettura
sacra, adottando, per la prima volta, un vestibolo che si allunga in
profondità con un secondo ordine di colonnato. Ultima opera di
P.
fu la cupola della chiesa di San Carlo al Corso (1668) (Cortona, Arezzo 1596 -
Roma 1669).